Disagio e prevenzione – Università del tempo libero –

L'intervento di don Pino D'Aleo. Mazzarino, 17.03.2012

 

 

  1. Disagio

 

Introduzione

Le forme del disagio: gli indicatori nazionali e locali

Segnali di fiducia: gli anticorpi sociali

   

Introduzione

 

''Si respira un clima, un'aria che non sempre e' tranquillizzante anche se, dobbiamo essere onesti, guardandoci attorno, non solo esistono ombre ma anche luci delle cose, delle intelligenze, degli uomini, delle istituzioni''.

 

''Affrontare i problemi del lavoro e risolverli nel modo giusto, secondo equità significa farlo nell'interesse delle famiglie per creare una società più umana e sicura''. (Card. Bagnasco, Omelia all’Ansaldo di Genova, 14 marzo 2012)

 

Fino a qualche decennio fa, il termine veniva associato alla condizione giovanile, “disagio giovanile, adolescenziale” si diceva…

Oggi, mi pare, il termine viene più spesso usato per indicare in modo sintetico il diffuso malessere che coinvolge tutto l’uomo e quasi ogni aspetto della società civile.

 

Il termine disagio esprime il non percepire se stessi come integrati in relazioni di vita soddisfacenti, un sentirsi fuori tempo e fuori posto.

E tale sensazione o condizione, ormai, non riguarda più solo i giovani, è diventata il colore dominante del nostro tempo.

 

I sintomi del disfacimento della nostra civiltà, e dunque del disagio personale e sociale, sono sotto gli occhi di tutti. Solo per fare qualche esempio:

le ricorrenti, attualissime e gravi difficoltà economiche; la desolante disperazione, che conduce alla depressione psichica; la giusta indignazione delle nuove generazioni, assistite ed emarginate nel presente, ma bruciate nel loro futuro; la crescente insignificanza di quasi tutti i punti di riferimento creati dall’uomo nel corso della storia – politica, bene comune, sacralità della vita, dell’infanzia e della famiglia… - destituiti del valore intrinseco, o attribuito, o comunque condiviso.

 

Ormai è entrato nel linguaggio comune ragionare sulla nostra epoca in termini esclusivi di ‘post’, con lo sguardo all’indietro e senza prospettive per il futuro.

 

Per connotare il nostro tempo - scrive il filosofo Luigi Alici[1] - “non troviamo di meglio che parlare di ‘congedo’ rispetto a qualcosa che non c’è più, e non di anticipazione o promessa di qualcosa che sta per realizzarsi: non è forse vero che nell’epoca dei ‘post’, sappiamo parlare solo di cultura postmoderna, postsecolare, postmetafisica, postdemocratica, postumana…?”

 

Viviamo, dunque, nel post…qualcosa, ci stiamo congedando da una civiltà dai precisi contorni, che diventa ogni giorno più ‘liquida’ (Z. Bauman), perdendo a pezzettini i propri punti di riferimento, con il risultato che singole persone e gruppi di cittadini vengono insidiati dai grumi di desideri inumani o disumanizzanti, importati dal mondo alieno delle mode governate dalla finanza e da esclusivi interessi commerciali.

 

Le numerose insidie della società malata tendono a intossicare tutti, ma sono specialmente i cittadini più giovani a rimanere abbagliati dallo sfarfallio ingannevole.

 

I giovani, in ogni epoca, sono stati considerati il punto di concrezione della fatica evolutiva dei padri e l’anticipazione – spesso ancora caotica e non sedimentata – di ciò che sarà il futuro.

 

Ma i giovani nostri contemporanei, con spontaneità disarmante, riescono solo a mostrarci la deriva della nostra civiltà, quando si accartocciano nei chiari segni della sofferenza, che i tecnici chiamano anoressia o bulimia, obesità e depressione; quando si imbottiscono di alcol, viagra e sostanze stupefacenti sempre più pesanti; quando tentano di ribaltare l’avvertita impotenza esistenziale abbandonandosi a velocità scriteriata e autolesiva, o all’euforia dell’azzardo e della discoteca, o alla pratica mortificante della genitalità come surrogato della più difficile arte d’amare.

 

In realtà noi tutti, e non solo i giovani, siamo contornati da un clima di fatalismo e di depressione, che insensibilmente tende a trascinare le nostre esistenze nelle trappole dell’ansia, dell’istintualità, della lamentela, del pessimismo a priori e dello scoraggiamento paralizzante.

 

Se si vuole reagire alla deriva, dobbiamo chiederci onestamente da quali situazioni sociali e personali scaturisce il disagio.

Per poterla adeguatamente contrastare, bisogna scomporre, penetrare, demitizzare tale entità.

 

Le forme del disagio.

 

Per individuare alcuni degli indicatori nazionali e locali del disagio, farò riferimento ad alcuni recenti documenti[2].

 

 

a. Indicatori nazionali del disagio.

 

Dal Comunicato stampa dell’Eurispes. Il presidente Gian Maria Fara:

 

  1. Depressione economica.

 

“Il Paese vive un generale senso di depressione che attraversa tutte le classi sociali: i poveri perché vedono allontanarsi la possibilità di migliorare la loro situazione economica; i ceti medi perché hanno paura di una progressiva proletarizzazione; i ricchi perché si sentono criminalizzati e hanno persino timore di mostrare il loro status”.

 

 

 

  1. Responsabilità e latitanza delle élite.

 

Il presidente di Eurispes continua: “la responsabilità dell’attuale situazione che viene attribuita impropriamente e per intero alla classe politica, appartiene invece alla ‘classe dirigente generale’ della quale fanno parte tutti coloro che esercitano ruoli e funzioni direttivi all’interno della società:

imprenditori, élite culturali; manager pubblici e privati; sindacalisti; magistrati; professori; uomini dell’informazione e della ricerca”.

 

Si tratta di un’élite, secondo Fara, “che dovrebbe farsi carico delle esigenze e dei bisogni della collettività”, mentre in realtà si comporta come “un blocco solidale e separato dal resto del Paese, articolato sul modello feudale, che non ha nessuna intenzione di rinunciare, neppure in piccola parte, ai privilegi conquistati”.

 

  1. Ricchezza sommersa e criminale.

 

A proposito di economia e criminalità ed evasione fiscale, Fara afferma:

La società è vittima e complice, nello stesso tempo. Basti pensare che in Italia esistono tre Pil: uno ufficiale (1.540 mld); uno sommerso (equivalente al 35% di quello ufficiale: 540 mld); uno criminale frutto dei proventi delle attività illegali, che supera i 200 mld)”.

 

Anche il dossier 2011 della Caritas Sicilia (Le conseguenze della crisi viste dal Sud) evidenzia che in vaste aree delle regioni meridionali l’economia legale è condizionata da economia sommersa/informale/criminale.

 

  1. Condizione economica delle famiglie.

 

La condizione economica delle famiglie rappresenta uno dei punti più problematici, secondo il Rapporto Eurispes 2011. La situazione è “nettamente peggiorata per il 67 % degli italiani: la maggioranza degli italiani pronostica un peggioramento nel 2012 con una contrazione del reddito diffusa, aumento della richiesta di prestiti, non solo per l’acquisto della casa, ma per beni d’importo più piccolo, oppure per il pagamento di debiti pregressi”

 

Altri fenomeni preoccupanti: quasi il 10 % delle famiglie si rivolge ai “Compro oro” per raggranellare soldi; fra i giovani si registra il desiderio o la necessità di “fuga” all’estero, il 59,8 % dei 20-30enni si dice ‘disponibile a lasciare il Paese’, sintomo delle reali difficoltà a trovare lavoro e a costruire un futuro.

 

  1. Infanzia e adolescenza

 

Nel Rapporto Eurispes si trova anche il racconto della condizione di bambini ed adolescenti nella società contemporanea: dall’abuso al disagio, dalla salute ai principali cambiamenti intervenuti a modificare taluni comportamenti delle agenzie di senso e di orientamento come la famiglia e la scuola, ma anche i

luoghi della cultura e della fruizione del tempo libero.

 

Alcuni degli argomenti trattati: bullismo, lavoro minorile, abuso sessuale, consumo di sostanze stupefacenti, disturbi alimentari, carenza di asili nido, povertà infantile, tutela dei bambini nomadi, affidamento familiare, giovani e politica, rapporto con le nuove tecnologie sono solo

 

  1. Deriva etica.

 

Sui temi etici il Rapporto registra: un deciso favore per il ‘divorzio breve’ (82,2 %), per la ‘pillola abortiva (58 %), per l’eutanasia (50,1 %) e per il ‘testamento biologico’ (65,8 %), mentre è netta la contrarietà al ‘suicidio assistito’ (71,6 %).

 

 

b. Indicatori locali del disagio

 

 

Gli indicatori nazionali del disagio, almeno in parte, interessano certamente anche la nostra città.

Per descrivere non in modo approssimativo il disagio della nostra città, avremmo bisogno di indagini complesse; ci limitiamo solo a qualche osservazione:

 

 

  •          nel solo anno 2011, quattro suicidi, un tasso sproporzionato rispetto alla popolazione;
  •          è esponenziale l’incremento dell’assunzione di alcool e stupefacenti;

il fenomeno pare interessare ormai anche minori intorno ai 13/14 anni;

  •        il disagio intrafamiliare è evidenziato dal crescente numero di richieste di separazioni e divorzi;
  •          alcuni nuclei familiari non sono in grado di sostenere il carico educativo: mediamente ogni 20 giorni un minore viene allontanato dalla famiglia e inserito in percorsi comunitari di recupero e assistenza;
  •          la dispersione scolastica è a livelli di guardia: ogni anno vengono segnalati dalle scuole di ogni ordine e grado c.a. 50 casi di disagio comportamentale…
  • Nel rapporto Ser.T. 2011, per Mazzarino vengono registrati solo 6 casi di tossicodipendenza (3 già in cura e 3 entrati in trattamento nel 2011), e solo 4 di alcolismo (3 precedenti e 1 nel 2011). Il dato è strano se confrontato con l’osservazione diretta della realtà cittadina (spaccio di alcolici anche a minori, conclamato uso di cannabis e cocaina).

 

Evidentemente non tutti i tossicodipendenti ed alcoolisti, soprattutto se giovani, affluiscono al Ser.T. sia perché coperti dalla famiglia, che preferisce trattamenti privati per evitare la schedatura, e sia perché la distanza da Gela scoraggia i possibili fruitori.

 

La cronica carenza di personale e l’insufficienza dei locali del Ser.T. di Gela – denuncia il rapporto - rendono impossibile la risposta completa alle domande di assistenza provenienti da tutto il Distretto e la popolazione di Mazzarino resta scoperta.

 

Ognuno, in base alla propria osservazione diretta e alla propria sensibilità, potrebbe allungare da sé la penosa litania del disagio:

 

  • parecchi anziani non autosufficienti temono seriamente la solitudine e l’abbandono;
  • i costi della malasanità cominciano a pagarli soprattutto i meno abbienti, e il diritto alla salute diventa diritto di classe;
  • la disoccupazione giovanile (e quella di ritorno per i 40/50enni) è il nuovo spettro che angoscia e demotiva gli interessati e le famiglie;
  • i consumi, anche dei beni primari, calano drasticamente e l’economia locale boccheggia;
  • il nostro habitat si degrada ogni giorno di più: sporcizia ovunque, viabilità impossibile, assenza quasi totale di luoghi aggregativi sani e per il tempo libero…

 

Il risultato delle nostre osservazione è, alla fine, un quadro di sofferenza, che sembra insormontabile, tante invocazioni di aiuto non sempre percepite dalle istituzioni, mentre disperazioni e drammi lentamente corrodono la solidarietà e svuotano la città di dignità e di speranza.

 

A questo punto, non è esagerazione dire che la nostra società è malata, che necessitano urgentemente trasfusioni e anticorpi, per evitare che la necrosi avanzi in modo irreversibile..

   

Tre segnali di fiducia (anticorpi sociali):

 

  1. Un primo segnale positivi viene diffuso proprio dai giovani: si affaccia sulla scena del privato intraprendente il gruppo dei Giovani Imprenditori Mazzarinesi, una costola della Confcommercio.

 

  1. Da c.a. 9 mesi, per l’intraprendenza e l’amore sociale di Enzo Russo è nata l’associazione “Noi e la Sicilia” con sede a Mazzarino. Ne fanno parte come soci: 105 imprenditori, 140 della società civile, 35 enti (fra cui: Comuni, Scuole, Banche e anche il Provveditorato agli studi). Dei complessivi 280 soci, 1/3 sono mazzarinesi.

 

All’azione antiracket e antiusura e agli incontri di sensibilizzazione nelle scuole della provincia, ora l’associazione ha deciso di affiancare uno “Sportello del cittadino”. Retto dall’avv. Michele

 

Costa, lo sportello si propone di garantire che le istanze dei cittadini alla Pubblica amministrazione ricevano risposta nei tempi indicati dalla legge. Lo sportello intende infondere fiducia nel tessuto sociale, diffondere una maggiore consapevolezza dei propri diritti e motivare i cittadini a voler ottenere quanto loro dovuto senza ricorrere ad intermediazioni di alcun genere.

Noi e la Sicilia, ultimamente, si sta adoperando per costituire una cooperativa per la gestione dei beni confiscati alla mafia.

 

  1. La Caritas, oltre ai consueti aiuti ai meno abbienti – come distribuzione di viveri in collegamento con Banco Alimentare (solo a Mazzarino le sei parrocchie assistono mensilmente più di 700 persone indigenti) – per andare incontro ai nuovi poveri ha dovuto attivare altri aiuti d’emergenza:

 

Sportello Immigrati, che sta per essere integrato nel più vasto Progetto Fondazione Sud;

 

Progetto Policoro per accompagnare e sostenere i giovani in micro progetti di imprenditorialità;

 

Progetto Lotta alla Povertà, 365.000 euro cofinanziati da Regione Sicilia e Caritas, per famiglie indigenti: finora la nostra diocesi ha preso in carico 336 nuclei familiari (interviene per pagare bollette, affitti, beni alimentari, emergenze sanitarie);

 

Prestito della Speranza, nato da un accordo fra ABI e CEI, che con 30 ml di euro ha creato un fondo garanzia per finanziamenti a famiglie in difficoltà;

 

Microcredito, nato da un accordo tra Caritas e Regione Sicilia per contrastare l’usura e sostenere famiglie e aziende familiari in difficoltà.

 

Microcredito diocesano per sostenere l’imprenditoria giovanile, in fase di realizzazione, partirà dal 2013.

 

Le buone pratiche di solidarietà, che la Caritas diffonde nel nostro territorio, sono segni, che intendono direzionare gli sguardi verso una economia alternativa, ispirata stabilmente a princìpi di legalità e solidarietà.

 

La gravità dei problemi prima elencati, ad ogni modo, esige un intervento rapido da parte delle istituzioni, che non possono continuare a delegare al volontariato dell’iniziativa privata, cristiana o laica, le risposte che spettano ai cittadini per diritto, o attendere passivamente che qualcosa si muova per la coscienza e la buona volontà degli imprenditori locali.

   

 

  1. Prevenzione  

  

Gli interventi delle istituzioni

Il ruolo dell’educazione

Segnali di fiducia: gli anticorpi

 

  

Gli interventi delle istituzioni

 

Prevenire il disagio nelle sue varie forme o affrontarlo nella sua insorgenza, significa anzitutto decidere di investire risorse economiche: nei tempi lunghi, ciò è conveniente per la comunità, si traduce in considerevole risparmio economico, oltre che naturalmente in un più diffuso livello di felicità individuale e collettiva.

 

A questo punto è necessario segnalare la grave carenza dei Servizi sociali del nostro Comune: si registrano disfunzioni e scollegamento fra i diversi organismi preposti alla prevenzione del disagio di ogni genere, e l’unica assistente sociale del comune è assunta come consulente esterna, il suo servizio non è continuativo e, fra l’altro, non sempre viene messa a conoscenza dei casi segnalati dalla scuola o dai cittadini.

 

Certamente gli amministratori di turno invocheranno a discolpa il patto di stabilità, l’endemica mancanza di risorse economiche ecc.

 

Ma, a mio parere, le difficoltà non nascono solo dalla latitanza delle risorse economiche, sono frutto anche di una carente formazione politica.

Anche ai minimi livelli di piccoli comuni, come il nostro, da qualche tempo si è trasferita l’antipolitica del nostro mondo globalizzato.

 

Crescono sfiducia sociale e delegittimazione delle rappresentanze, ma ciò è frutto a volte di incompetenza amministrativa, irresponsabilità, sospetto maniacale, demonizzazione dell’avversario, tutti elementi che contribuiscono a diffondere sfiducia nei confronti della politica.

 

Credo che sia condivisibile quanto scrive Famiglia Cristiana nell’editoriale dell’11 Marzo: “Dei partiti, come mediazione tra lo Stato e i cittadini, non possiamo fare a meno. Ma di questi partiti famelici e inconcludenti sì. Non è qualunquismo o antipolitica. È voglia di altra politica, più seria e rigorosa. Possibile solo con uomini nuovi, che antepongano il bene del Paese agli interessi personali”, uomini che fondano la loro azione politico-amministrativa sui sani principi della reciprocità, della sussidiarietà, della solidarietà.

 

 

Il ruolo dell’educazione

 

Un altro nome della prevenzione è educazione. Se vogliamo prevenire le sofferenze del disadattamento, dobbiamo necessariamente piegarci alla fatica dell’educazione.

 

La chiesa italiana ha voluto dedicare il decennio 2010-2020 a quella che, negli Orientamenti pastorali Educare alla Vita buona del Vangelo, i vescovi hanno definito ‘l’arte delicata e sublime dell’educazione’.

 

L’emergenza educativa, che sollecita l’urgenza di dedicarsi alla formazione delle nuove generazioni, non interessa ovviamente solo la comunità cristiana, ma la società intera e le diverse agenzie educative, dalla famiglia alla scuola, dalle società sportive agli organizzatori del tempo libero, dai mass media alle varie espressioni della politica e del volontariato.

 

Mentre coniughiamo i due termini “educazione” e “prevenzione”, la mente istintivamente ricorre a don Bosco. Nel fortunato binomio da lui creato: “sistema preventivo”, il grande educatore metteva in serio risalto l’importanza degli adulti, degli educatori.

 

Nei loro confronti don Bosco era molto esigente, chiedeva loro di costruirsi una propria equilibrata personalità, per poterla offrire poi come modello ai giovani.

 

Il sistema educativo preventivo esige, dunque, impegno auto formativo negli adulti, e la coscienza che l’ambiente in cui vivono i giovani è di per se performativo, ma l’ambiente e la cultura per la gran parte sono frutto delle scelte degli adulti.

 

Qualche tempo fa, nel corso di una serata promossa dall’ACOSS- Associazione contro le stragi del sabato sera, io stesso (scusate l’autocitazione), a proposito di prevenzione delle stragi del sabato sera affermavo:

 

È possibile prevenire l’auto distruzione, si può organizzare la propria vita attorno a comportamenti virtuosi, quelli che promuovono benessere e crescita gioiosa di sé e della comunità.

È possibile prevenire, a patto che la cultura in cui nuotano i giovani sia rispettosa della vita, che gli adulti assumano con responsabilità il loro ruolo educativo.

Educare significa offrire alle nuove generazioni una griglia etica per leggere e affrontare la vita.

 

Dobbiamo umilmente ammettere che, fino a ieri, noi adulti e le istituzioni abbiamo dato ai giovani testimonianze ambigue, se non addirittura negative.

 

A nessuno sfugge, inoltre, che le scelte operative, compiute dalle istituzioni e dagli uomini che le rappresentano, direttamente o inconsciamente veicolano alla società e alla sensibilità estrema e critica dei giovani l’invito a comportamenti responsabili o no”.

 

Aggiunsi anche, in quella occasione, che - per quanto possa apparire paradossale - nel cantiere sempre aperto della costruzione della coscienza etica collettiva e individuale, sono determinanti gli interventi di politica amministrativa, che di per se educano o distruggono la coscienza etica del popolo, soprattutto dei giovani.

 

Dunque, è necessario uscire dallo scetticismo educativo, che vanifica la stessa relazione educativa, al punto – dicono i vescovi italiani – che “i progetti educativi diventano programmi a breve termine, mentre una corrente fredda scuote gli

spazi classici della famiglia e della scuola”, che invece debbono tornare con generosità a prendersi cura del bene delle persone loro affidate, nella prospettiva di un umanesimo integrale.

 

 

Altri tre segnali di fiducia (anticorpi) sul fronte dell’educazione come prevenzione.

 

  1. Anche a Mazzarino, da un anno circa, è nata l’AGe-Associazione dei Genitori: le coppie associate organizzano incontri di formazione alla genitorialità, seminari di studio sui più moderni sistemi educativi, socializzano i propri problemi educativi, scambiano le buone pratiche sperimentate in famiglia.

 

I nostri ragazzi tendono a “perdersi” non per cattiveria innata, ma per cattiva educazione.

 

 

Paolo Crepet, nel suo ultimo libro[3], annota come parecchi genitori (che con espressioni colorite definisce: genitore elicottero, genitore catering, Inps o pompieri), “in questi decenni di cascame educativo”, hanno “adottato come bussola dell’educazione due semplici e terribili parole: quieto vivere. Molti genitori di oggi farebbero qualsiasi cosa pur di non farsi venire il mal di testa… Sembra diffondersi la convinzione – conclude Crepet – che evitare qualsiasi scontro, attutire qualsiasi contraddizione, appianare qualsiasi motivo di confronto rappresenti il salvacondotto educativo del genitore contemporaneo”.

 

L’impegno dell’AGe vuole aiutare i genitori a recuperare autorevolezza e a osare dedicare se stessi al compito educativo.

 

  1. Progetto delle sei parrocchie di Mazzarino per il sostegno psicologico e spirituale alle giovani coppie (da 0 a 6 anni di matrimonio).

 

Il progetto è nato su sollecitazione del vescovo Pennisi che – oltre ai giovani - ha indicato nella famiglia la priorità pastorale per la nostra città. Obiettivo del progetto non è il reclutamento di coppie patologiche, per le quali è necessaria una terapia specifica, ma di sostenere ed educare la relazionalità nelle coppie ‘normali’, prevenendo i disagi che, in genere, si manifestano più avanti in forma distruttiva.

 

Dieci coppie-tutor stanno già seguendo un corso di formazione alla consulenza familiare, con la guida esperta del ragusano don Romolo Taddei, consulente psicologo e psicoterapeuta della famiglia.

A ottobre/novembre dovrebbero partire i primi nuclei di giovani coppie, sostenute da una o più coppie “anziane”.

 

  1. Tra le varie attività dell’Oratorio salesiano, sta per partire un progetto di artigianato eccellente: è l’idea di due maestri liutai, che intendono trasmettere a ragazzi e giovani della città l’arte di fabbricare strumenti musicali di ogni genere.

 

 

Conclusione

 

Abbiamo, a volte, la strana sensazione di essere arrivati al capolinea della nostra civiltà: che non ci sia più consentito interrogarci per capire, che non ci sia più spazio per recuperare un diverso modo di vivere, e che ormai ci rimane ben poco da tramandare..

Drammaticamente il disagio diventa cifra per la comprensione del nostro tempo e l’istinto di sopravvivenza incattivisce i rapporti e costringe a scelte di autodifesa egoistica. Contemporaneamente non si intravede ancora la nascita di un alternativo modo di stare in questo mondo, una nuova civiltà che ci eviti il fastidio, l’angoscia, il disagio appunto, di doverci muovere al buio senza alcuna indicazione di percorsi e di mete.

In tale congiuntura globale, fortunatamente emergono anche i sentimenti buoni della compassione, della tenerezza, della solidarietà, del mettersi nei panni dell’altro e ognuno è costretto a decidere se far prevalere in se stesso l’orientamento di chiusura, di inumanità, o quello buono dell’interesse attivo per il benessere di tutti.

 

Nasce, così, l’ascolto del disagio: rieducarci all’ascolto delle sofferenze, senza voltare la faccia per non vedere, ed educare le nuove generazioni ad ascoltare se stessi, il proprio corpo, la propria interiorità e il mondo che li circonda: è il primo, urgente apprendistato per prevenire il disagio.



[1] L.Alici, Senza appello al futuro non c’è vocazione, in Presbyteri, 9(2009), p.654.

[2] Rapporto Italia 2011dell’Eurispes (L'EURISPES (ISPES fino al gennaio 1993) Istituto di Studi Politici e Economici e Sociali, presieduto dal Prof. Gian Maria Fara, è un Ente privato senza fini di lucro ed opera in Italia dal 1982 nel campo della ricerca politica, economica e sociale);

Rapporto 2011 Ser.T. distretto sanitario di Gela;

Dossier sulle povertà e sulle politiche per un autentico sviluppo umano, Le conseguenze della crisi viste da Sud, a cura della Delegazione regionale delle Caritas della Sicilia

C.E.I. Orientamenti pastorali Educare alla Vita buona del Vangelo

 

[3] P. Crepet, L’autorità perduta – Il coraggio che i figli ci chiedono, Einaudi, 2011.