Vate Matarino

 

 

Autore:                 Giuseppe D'Aleo

Titolo:                    Vate Matarino

Edizione:               Lussografica, Caltanissetta dic. 2013

Pagine:                    216

Prezzo:                   € 14,00


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Commenti: 18
  • #1

    Vincenzo (giovedì, 09 gennaio 2014 19:21)

    Romanzo storico, va benissimo. Mazzarino rivive grazie alla penna dell’autore che ricorda un personaggio “sui generis” e per questo molto discusso. Io lo definirei anche romanzo edificate perché il protagonista, grazie alle sue stravaganze, dà lezione di grande umiltà ed imitazione di Cristo. Mazzarino “è un paese fortunato. Finché quel prete continuerà a scendere negli inferi, c’è speranza…”. La storia della salvezza si incarna in tempi e in luoghi ben precisi.

  • #2

    Erminio Jacona (venerdì, 24 gennaio 2014 23:18)

    Siena, 22 gennaio 2014

    Brevi Note (non richieste) a margine di Vate Matarino

    Terminata la gradevole quanto attenta lettura del tuo ultimo lavoro mi permetto di evidenziare alcune pagine che maggiormente mi hanno emozionato, tralasciandone altre che meriterebbero altrettante citazioni… ma quando si deve scegliere… qualcosa bisogna pure lasciare e allora…

    Non entro nel merito del racconto, sempre ben vivo, tangibile e intrigante… mi soffermo soltanto sulle ‘piccole e grandi finestre’ che la tua narrazione ha riaperto nella mia fanciullezza-giovinezza ‘prestata’ a Mazzarino, essendo stato io quasi un ospite del paese… lasciato dall’età di 12 anni fino a circa 26 per motivi di studio (le vacanze di Natale e qualche mese estivo furono i tempi della mia permanenza…) e allora, le tue parole, come nei Bambinelli di Macarina, hanno completato alcuni tempi morti di questa mia lunga assenza…rimpianta ora ma non allora!

    Bella la caratterizzazione dei personaggi ‘buoni’(pp.16-17; 179) che probabilmente ti sono stati ispirati dalla figura di papa Francesco; magistrale (pp. 36-37) la descrizione della civiltà contadina… e infine piacente il ricordo del sacrista (p. 39) custode delle sedie che ‘affitta ai fedeli abbienti’. Ottimo l’intuito (p. 43 e passim) per ‘giustificare l’uomo Galizia diverso’, fuori da quel contesto socio-religioso che lo volle emarginare.

    Nella citazione del ‘somaro’(p.51), narratami da mia madre, ho ‘rivisto’ il canonico don Luigi P. secco, allampanato, con la faccia truce dell’inquisitore, abile nel mettere bocca ovunque… e il fratello zzu’Jacintu, bottegaio e salumiere di leccornie, dagli occhi grifagni costantemente fasciato da una untuosa lunga vestaglia grigia di taffetà, servire avventori poveri e abbienti sempre con il medesimo cipiglio…
    Il ricordo si collega a Nino, un mio fraterno amico oggi non più fra noi, figlio di un onesto quanto rifinito artigiano che certamente non navigava nell’oro. Un giorno, nella metà degli anni ’50, Nino, (che poi avrà la ventura di essere un ottimo insegnante in una scuola del ‘profondo nord’), per aver suonato le campane della Madrice aveva avuto dal parroco pro-tempore 50 lire, che egli pensò bene di ‘impiegare’ nell’acquisto di una mafalda imbottita cu ‘a murtatella du zzu’ Jacintu… Il mio amico e il canonico s’incrociarono sulla soglia della bottega. Nino diede il passo al reverendo mentre quest’ultimo, vedendolo addentare la mafalda, lo apostrofò dicendogli che quello era uno sfizio da ricchi… (perdona il ricordo ma è venuto spontaneo… e non sono riuscito… o meglio non ho voluto ricacciarlo… indietro).
    Ma per fortuna c’erano anche uomini come Ciccio Busacca, ottimo artista di strada ad incantare la gente con le sue storie poetiche… nel ricordo di un quotidiano che emozionava ieri come oggi.
    Il Vate (bello questo ‘attributo’ pensato da un suo probabile o non incontro, al fronte, con D’Annunzio?!) e Quintilia Rossella non furono, e forse non si ‘sentirono’, il don Abbondio e monna Perpetua di turno… ma due esseri che vollero cementare (omia munda mundis), a posteriori e casualmente, sopratutto le loro solitudini di reduci-relitti di quel grande carnaio che fu la prima guerra mondiale…
    I personaggi di contorno, tutti e specialmente quelli che agiscono alle pp. 61-73 di questa tua storia, sebbene a volte appena delineati, dominano la scena con la prestanza della grandi maschere della Commedia dell’Arte… e il palcoscenico paesano, variegato e a volte crudele, dove ognuno rappresenta, con la propria maschera, la parte che la sorte ha voluto assegnargli… è perfetto!
    Una menzione speciale va a Cannistra & Quartarella (il gatto e la volpe di collodiana memoria! ma che non sono riuscito a ‘collocare’ nella mia memoria…) perfettamente allocati sotto il ‘maleodorante arco Capizzi’ quasi escrementi umani che neanche il pezzo duro di Baffuni può addolcire o profumare. Sei stato buono con loro… ma questo fa parte del tuo ministero…
    Il capitolo l’incontro (pp. 163-173) è un vero saggio di umanità elevato a poesia, completato dal tocco finale del pirandelliano ‘come tu mi vuoi’, in ad Inferos…

    Bravo don Peppino, ancora una volta hai steso un grande affresco… che il buon Peppino (quell’altro), da qualunque posto si trovi, sornionamente approverà… sei stato ammirevole e soprattutto coraggioso nel rammentare-commentare questo tuo confratello che la memoria beghina del tempo (e non solo) aveva proprio mandato agli Inferi.
    erminio jacona

  • #3

    Borina Cuda (mercoledì, 29 gennaio 2014 13:03)

    "La lettura di Vate Matarino coinvolge come un romanzo perchè amalgama bene realtà documentata e finzione letteraria. Soprattutto rende giustizia a una figura sui generis di prete, disprezzata dai bempensanti, autentica sicuramente, che oggi sarebbe in sintonia con Papa Francesco".

  • #4

    Francesca Guttadauro (mercoledì, 29 gennaio 2014 13:05)

    Bellissimo romanzo storico! Un viaggio meraviglioso, attraverso luoghi e personaggi, nel passato per le vie di Mazzarino. Emozionante curiosa e commovente la storia di padre Galizia! Prototipo di una Chiesa moderna subì certo le critiche di coloro che non capirono il suo spirito! Grazie a te zio, per questo libro perché ci consegni una grande memoria storica.

  • #5

    Salvatore Lanzafame (mercoledì, 29 gennaio 2014 13:06)

    Nell'ultimo libro di don pino d'aleo VATE MATARINO - il prete ardito è tornato dalla guerra- a pag.n.96 si legge: "

    Quale moto interiore lo costringeva al collezionismo? Nevrosi d'insicurezza che si autocompensa in comportamenti replicati in modo ossessivo? Sublimazione dell'atavica fame dei poveri, che costringe ad accumulare e conservare per i tempi difficili?
    Da qualsiasi regione sana o patologica della personalità provenisse l'istinto, è certo che il collezionismo si manifestava in lui come urgenza compulsiva di selezionare e dominare la realtà. Tutto ciò che è possibile comporre in ordine seriale lui lo raccattava e lo depositava in un angolo dello stanzone: affastellava pagine di giornale e articoli ritenuti importanti, ritagliava foto e immagini, catalogandole come testimonianze epocali.
    ... Da parecchi anni ormai avvertiva che la sua mente, di tanto in tanto, tendeva a fluttuare dentro un'inconsistente liquidità, dove non vi erano appigli cui aggrapparsi, neanche uno spezzone di fradicio relitto su cui posare pensieri e ricordi."
    Non sono uno critico letterario nè ambisco ad esserlo, ma per uno scrittore che riempie le pagine così se non ci sarà il nobel, ci saranno certamente le congratulazioni di tutti i lettori.

  • #6

    Luigi Bognanni (mercoledì, 29 gennaio 2014 13:06)

    Ho letto tutto di un fiato l'ultimo libro di P. Daleo. È stato un tuffo nel passato, un passato che io avevo appena sfiorato, non riesco a partecipare agli altri l'emozioni provate. Sento di dovere ringraziare P. Daleo per questo suo lavoro, che in un certo qualmodo rivaluta un nostro paesano. Mi auguro che molti possono leggerlo perché è un pezzo di storia della nostra amata Mazzarino.

  • #7

    Don Pino Giuliana (lunedì, 03 febbraio 2014 21:47)

    Impressioni a caldo e invito a leggere il tuo libro "Vate Matarino". C'è uno sforzo notevole e compiaciuto di fare emergere i ricordi d'infanzia, affidare allo scritto un lungo pezzo di vita paesana, che non c'è più, dato ormai alla dimenticanza. Non c'è più e nessun corso e ricorso storico che può riesumarlo. Altro è il ritmo della vita, altri gli strumenti, altra l'umanità che oggi, non meno affaticata di ieri, brucia il presente. Tanto appropriato mi appare la denominazione di "Vate". Avanzato per il suo tempo, non cantore del suo presente, ma sognatore. Tra le macerie della prima guerra, di cui è straziato spettatore, l' inconsapevolezza del cieco oggi, lui "il prete ardito è tornato dalla guerra", è fuori storia. La sua storia si può raccontare solo come inventata, attraente perché strana. Complimenti.

  • #8

    Angelo Pecorella (martedì, 04 febbraio 2014 12:47)

    Lecco, 31.01.2014
    Carissimo don Pino,
    il personaggio don Galizia (per me Padre Galizia), nell’ultima tua produzione biografica, meritava di essere ricordato, e portato a conoscenza per chi non l’avesse conosciuto. Io ho avuto il privilegio di averlo conosciuto personalmente e, senza ombra di dubbio, sono sempre stato attratto dalla sua personalità controversa. Come uomo e come prete era autentico e principalmente onesto e sincero. Mi rammaricavo che alcuni beceri paesani lo dileggiassero. Mi congratulo con te per la dolcezza e la sensibilità che hai avuto nel far emergere la figura di don Galizia.

  • #9

    Linda Bilardo (giovedì, 06 febbraio 2014 13:07)

    Buongiorno padre, ho appena finito di leggere il suo libro. Lei è un grande! Non ho titoli accademici per formulare un giudizio tecnico, posso però dirle che mi è arrivato al cuore..... Mi ha fatto sorridere, ridere e anche commuovere. Ho scoperto grazie alla sua fatica, padre, un personaggio che ricordo vagamente, menzionato qualche volta dalla mia famiglia. Mi piace il " Vate " e complimenti a lei, padre Giuseppe, che ne ha riscattato la figura. Rinnovandole la mia stima, la saluto, augurandole buona giornata. Linda Bilardo

  • #10

    Don Pino Giuliana (mercoledì, 12 febbraio 2014 23:54)

    Dal 5 al 12 febbraio (1^ parte)
    I ricordi di costume attraversano tutto il libro e sono l’ambientazione di un personaggio eccezionale, non catalogabile. L’autore ci dà il gusto di scoprirlo non attraverso una iniziale presentazione complessiva come di un “monumento”, ma lentamente, man mano, fatto dopo fatto, in un susseguirsi di sensazioni. Chi ha conosciuto Padre Galizia, come me anche se superficialmente, riesce a distinguere dove il “racconto” è storico aldilà dei contorni letterari. Egualmente mi svela aspetti insospettati, dà senso a certi miei ricordi, alle impressioni avute o dagli altri trasmessemi.
    La Storia restituisce, attraverso lo scritto di D’Aleo, questa figura antesignana, il suo essere “Vate”, veggente in un mondo circoscritto, appesantito dalla cronaca pettegola paesana, un po’ incapace - come siamo anche oggi - a guardare al futuro. È un personaggio inimmaginabile.
    “Fu emarginato (…) La pecora nera del clero cittadino. Lui ne soffriva enormemente, mortificato nell’istintività emotiva. Reagiva male, attaccava, e il circolo vizioso si perpetuava all’infinito”(pag 130).
    Non meno lusinghiero era il “giudizio” della gente.
    “Un difetto l’aveva (e chi non ha difetti in questo mondo?). Ricolmo della sua ingenua fede, si era messo in testa di cambiare mondo e Chiesa, alzando il tono delle sue sgridate e, anziché far apprezzare con calma le sue intuizioni profetiche, si metteva contro. Il suo cuore era fatto per l’impegno - lui diceva per la “militanza”- e il temperamento schietto e sanguigno lo trascinava all’esagerazione, al rifiuto della mediocrità” (pag 131).

    A conclusione di lettura mi balza evidente ciò che sotteso in ogni scritto, ma qui particolarmente: l’opera letteraria, e il soggetto, il personaggio presentato. Annoto come nella parte finale ci sia una figura di prete - e aggiungo di vescovo- ideale, pur essendo il personaggio spigoloso, contraddittorio, anzi “Esagerato; fervida immaginazione ‘a la grandeur”; ruffiano e adulatore; sentimentale, romantico, infantile cuor contento; spregiudicato, tronfio e pieno di sé, troppo confidente nelle proprie forze.” Erano “i suggerimenti forniti da confratelli interessati a screditarlo” al Vescovo (pag. 160).
    S’era creato un ambiente su misura, in cui tutto era fuori del normale. Un personaggio “strano” come lo s’intende nel dialetto siciliano, non catalogabile, al di fuori di ogni schema, volutamente fuori coro, difficile da capire e da masticare. Le doti, le sue capacità - che sono la rivelazione del libro - perdevano spessore, venivano offuscaste, neutralizzate.

    Padre Giuliana

  • #11

    don Pino Giuliana (giovedì, 13 febbraio 2014 00:00)

    Dal 5 al 12 febbraio (2^ parte)
    Sorpresa determinante, le lettere da lui inviate al suo giovane vescovo, P. Angelo, (individuabile in Mons. Mario Sturzo, pur con accenti che io non riconosco nella sua biografia). Originano il libro. Hanno grande valore a se stante con uno stile appropriato, un dire sciolto, una sincerità ammirevole. Fanno scoprire del seminarista soldato non solo l’animo sereno, determinato, ma la sua vocazione salda, la vita spirituale lineare, il mondo di un esercito in guerra nel nord Italia.
    Al contrario di questa impressione persistente tra i fatti della narrazione avvincenti e gli scritti epistolari emerge conturbante un comportamento dissociato (se non schizofrenico), che viene detto a chiare lettere da D’Aleo. Egli non fa sconti pur ammirandolo; riporta da documenti: “… in guerra era stato difficile per chiunque mantenere l’equilibrio … “ (p.157), più avanti (p 158) “Calmato nei suoi scatti nervosi”… “minimizzare un comportamento notoriamente squilibrato?”
    Quale è stato il vero volto di Padre Galizia? perché il libro una risposta a simile domanda la abbozza.
    Lo stile, l’opera letteraria sostituisce la risposta definitoria perché “ Non è bene definire una persona, mai”( pag. 185); se non come “un prete di periferia, che ama frequentare le stranezze umane” (pag.186). I fatti sono sublimati, acquistano contorni ideali, manifestano la propensione legittima dell’autore: quali tra le tanti immagini di un prete, di un vescovo lo soddisfa?
    Ripeto che l’essere un “racconto” svia la domanda e porta ad ammirare la bravura dello scrittore. Oggi mi trovo a leggere pochi libri, dopo averne letti a centinaia, ma per vizio antico di infiniti appunti, sottolineature e passi trascritti, tengo a cogliere il senso profondo. E per questo ho rispetto e ammirazione dell’amico D’Aleo, scrittore.
    Ritornando alle lettere del seminarista soldato Galizia, mi chiedo cosa rispondesse il Vescovo (che amava abitualmente dare riscontro) a missive cosi entusiaste della vita militare, al suo sentirsi “ardito” con una commistione di fede, patriottismo e impegno per sé e per gli altri - come Sergente - ad essere orgogliosi del ruolo e disciplinati? Quello che scrive - parla di 129 lettere e altre ancora - è un documento sulla vita militare in tempo di guerra, della grande guerra (così martoriata e martoriante: milioni di morti, devastazioni di ogni genere in una Europa che ne uscì sconquassata).
    In verità D’Aleo dice le riflessioni di questo singolare Vescovo, che interiormente parteggia per questo strano e inviso prete; ammette che “qualche squilibrio c’è, alcune ombre solo là, evidenti … figura ambigua. Fuori del comune”.

  • #12

    don Pino Giuliana (giovedì, 13 febbraio 2014 00:03)

    Dal 5 al 12 febbraio (3^ parte)
    Lo stile di Giuseppe D’Aleo è quello degli scrittori moderni: frasi stringate, punteggiatura e aggettivazione sobria. Fluido e accattivante, si lascia leggere speditamente, con il piacere di riprendere alcuni passaggi. D’Aleo ama il racconto perché - penso - gli offre la possibilità di disegnare i personaggi con maggiore duttilità, indicandoli, non da storico, nei vari risvolti esistenziali. Anche in questo modo vuole essere nel presente, contemporaneo all’uomo di oggi, ponendosi a giusta distanza, rievocando non nostalgicamente il passato, ma per la valenza culturale dell’ambiente sociale. Descrive con bravura minuziosa e puntiglioso realismo paesaggi, situazioni del tempo, oggetti, animali, cose. Si avventura scioltamente in analisi psicologiche e sociologiche. Scolpisce una figura di Padre Galizia come “ardito”, tra l’eroe e il temerario, il coraggioso e il baldanzoso, provocatore stizzoso.
    Ciò per carattere e per l’esperienza non comune di soldato al fronte. Di questa porta segni indelebili. Il temperamento, la personalità acquistano man mano nella narrazione valore contrastante.
    Può essere un uomo con cui confrontarsi perché riassume in sé le contraddizioni di un tempo molto lungo, le avvisaglie di una fiumana, di un magma vulcanico di pensiero e volontà che troverà sbocco trasbordante e irreversibile nel Concilio e nel dopo Concilio.
    D’Aleo ha il merito aggiunto di avere tirato fuori dalla dimenticanza un uomo strattonato da tutti i suoi contemporanei, perché un “Vate”.
    Alla fine c’è solo il piacere di “raccontare”, di modellare personaggi singolari, esorcizzare la paura, il demone del non senso, del tira a campare, così di moda? C’è un insieme di motivazioni. Io colgo quella che mi sembra prevalere. Infatti, non a caso D’Aleo, quasi a conclusione del libro, mette: “Ad inferos”.
    Chi ha letto“I Bambinelli di Macarina”, ricorda le pagine struggenti dedicate a questo. La maestria o il “mestiere di prete”, il suo e il mio, è abitare le periferie per sottrarre al maligno la sorte di tante coscienze, e perché no, del mondo in cui viviamo, e di cui non siamo estranei. Lo dice (lo fa dire) il vescovo: “Finché quel prete continuerà a scendere negli inferi, c’è speranza … ed è il contrario speculare di quei preti arroccati sui seggi del prestigio personale e della riuscita …” ( pag.186).
    È una conclusione.
    I limiti degli altri non assolvono quelli del Galizia. C’era in lui estrosità, forse originalità e schietta sincerità … ma non collimano con la “santità”, per cui il Sacerdote diventa (deve essere), guida riconosciuta dal “gregge”, esemplare (ma non solo lui) perché “Gli altri vedano le vostre opere buone”, afferma Gesù!
    Il valore del racconto non è sminuito, anzi esalta il suo apparato letterario, ma il personaggio, il “Vate” non può essere emblematico, pur suggerendo di specchiarci nel suo passato, e far riemergere figure fuori dal normale, come - l’afferma il vescovo- lo è stato il Cristo.
    Padre Giuliana

  • #13

    Sara Lorefice (domenica, 16 febbraio 2014 22:47)

    Con la piacevole lettura del suo libro "Vate Matarino", ho avuto modo di conoscere, almeno in parte, la storia di quell'anziano prete che io, all'epoca, una bambina di pochi anni, vedevo passare spesso davanti a casa mia fischiettando, in compagnia del suo volpino. Questo libro è molto bello perché oltre a raccontare le avventure di quel prete anticonformista, giudicato molto severamente dalla Chiesa, descrive anche minuziosamente luoghi, personaggi e abitudini di Mazzarino, nostro paese natale. Complimenti per l'ottima riuscita del romanzo. Sara Lorefice (Busalla, Ge)

  • #14

    Prof. Gaetano Li Destri (martedì, 04 marzo 2014 08:33)

    Caro Don Pino, ho letto con molto piacere l’ultima Tua “fatica” letteraria e, come promesso, mentre ne prepari la presentazione pubblica, provo a esprimere un mio modestissimo parere.
    Devo dirti che è stata una lettura piacevole e assai interessante.
    Piacevole perché, ormai, ci hai abituato a uno scorrere narrativo che nulla ha da invidiare a chi, da tempo, si cimenta con la composizione creativa.
    Interessante, poi, mi è parsa la ricostruzione di un momento particolare della nostra comunità, di cose e vicende così lontane nel tempo che vale la pena non far cadere nel buio dell’oblio. Come dire, anche questa è storia e recupero di quella memoria che può ancora dare senso al nostro presente.
    Sono riaffiorati, nel corso della lettura, i racconti - forse veri o verosimili o forse frutto dell’antica abitudine mazzarinese, e non solo, di impreziosire gli episodi di epiche gesta - di una Mazzarino che non esiste più; o, se mi permetti la citazione, di un paesello in cui “ … faceva buio molto presto”.
    Per ciò che mi riguarda, la scorrevole scrittura e la coinvolgente forza attrattiva suscitatami dalla figura del prete “ardito”, mi hanno fatto riassaporare i ricordi di un quartiere che non vivo con la stessa intensità di un tempo e, ancor di più, hanno avuto la straordinaria capacità di richiamare le antiche fragranze di una civiltà di cui spesso sentivo i racconti da persone la cui frequentazione ci ha accomunato.
    La mia generazione non ha potuto apprezzare le “stranezze” e le “stravaganze”, né la positività dei messaggi di una personalità talmente originale da porsi, forse, al di fuori del suo tempo. Una vocazione interiore e un habitus esistenziale tutto fondato sulla fede e sulla genuina semplicità del messaggio cristiano.
    Non so se ho visto giusto, ma ho l’ardire di osservare: ho avuto, in certi momenti, l’impressione di una profonda condivisione – quasi come se fossero vissuti in prima persona – di valori e stili di vita tra l’autore e il protagonista. Una condivisione che, ancora una volta, ripropone la magia di quel simbiotico rapporto che, inevitabilmente, sembra legare il narrato e il narratore e, come sul palco, il personaggio e l’attore.
    Ma, ancor di più, debbo confessarti – tu che delle confessioni sei maestro - la mia ammirazione per quella tua capacità di costruire la trama narrativa attraverso i pochissimi spunti che sei riuscito a trovare e a cui ti sei ispirato.
    È il terzo scritto ormai che leggo e, salutandoti calorosamente, mi viene naturale chiederti: a quando il prossimo?
    Saluti.
    Gaetano Li Destri

  • #15

    Gino Farinello (sabato, 03 maggio 2014 14:57)


    Ciao Giuseppe,
    oggi domenica, 27. Aprile 2014 ho finito di leggere il libro. Scusa per il tono confidenziale, mi sono fatto completamente trascinare dalla lettura del tuo libro Vate Matarino. Sono ritornato indietro negli anni cinquanta-sessanta, in cui, anch’io con amici, nelle sere estive si incontrava padre Galizia e la sua eccentricità e ci si intratteneva a parlare del più e del meno. Forse, molto del più e poco del meno. Oltre a ripeterci nozioni di Storia, della sua vita militare e conoscenze varie, ci arricchiva di vita quotidiana, di amore verso il prossimo, non costrizione agli altari (spesso necessari) ma libera ricerca di Gesù tra la gente e con la gente.
    Ritornare indietro nel tempo con la lettura del tuo scritto, diventare giovane attraverso essa, gustare i tanti sapori ed odori del tempo che fu.
    “Le temps de lire, comme le temps d’aimer, dilate le temps de vivre”. (Daniel Pennac)
    L’aver conosciuto personalmente il personaggio mi ha facilitato, piacevolmente, la lettura del libro.
    E non solo questo. Anche la forma letteraria, poetica di molte pagine, intrisa di scene di vita vissuta, è fantastica, è filosofia. “……. lo strano silenzio che accompagna i momenti di grazia e di verità di ogni uomo”. Il rivivere momenti vissuti, momenti di sudore e di fatica, momenti di povertà e ricchezza di cui ognuno è possessore del proprio destino, mi è veritiero e spettacolare allo stesso tempo. Momenti della mietitura e trebbiatura *’u pisari*, così bene descritti, anche nella brevità, dura realtà di un tempo ormai sfocato ricordo. “Bestie e contadini (anche loro animali di fatica?) qualche volta …… stramazzavano per terra per l’insolazione. Tempi in cui l’acqua era bene prezioso.
    E quindi, la forma descrittiva del libro diventa a volte, lirica, poesia, in cui in alcune frasi ci si commuove, la vista tende ad annebbiarsi, le parole si deformano e sfuggono al controllo dell’occhio ormai umido, bagnato dall’emozione del ricordo. “Il cielo, prossimo a incupirsi, è striato di carminio che si slabbra. Risicate e taglienti come frecce, dolenti note fendono gli ultimi sprazzi di luce che bucano l’orizzonte. Fanno da contrappunto melodico gli arabeschi estenuanti di un insonne usignolo innamorato”.
    Grazie padre D’Aleo,
    un affettuoso abbraccio,
    Gino Farinello

  • #16

    Fra Enzo Arcadipane (lunedì, 05 maggio 2014 16:45)

    Carissimo Don Pino,
    Ho letto con molta attenzione i tuoi libri.
    Nel Prete che parlava con le api, ho scoperto cose nuove e interessanti, un padre Cannarozzo uomo di fede, di scienza e di politica, dal comportamento lineare, sempre sorridente.
    Nel Vate Matarino ho apprezzato l'interessante impostazione, cioè gli scritti affiancati alla sua vita, come pure è molto bello il capitolo in cui il Vescovo lo va a trovare; così pure i motivi della sua cosi detta stranezza.
    Il libro di Don Franco mi fa ricordare le sere del grest, quando ci ammaliava con un certo racconto di Ofman mi sembra, un mondo fatto senza mezzi toni o mezze misure, o bianco o nero.
    La mia sorpresa più grande è stati i racconti "I bambinelli di Macarina": complimenti, c'è molta vita pastorale con un pò di fantasia...
    Carissimo, mentre leggevo pensavo a quante sante persone ho conosciuto da bambino, ho ricordato la tua vicina di casa la maestra Giuiusa, che ci faceva catechismo in casa sua con tanto amore anche se noi eravamo un po' zucconi...
    Fr. Enzo Arcadipanei

  • #17

    Marco Boscaglia (martedì, 06 maggio 2014 23:22)

    Buon pomeriggio Padre D'Aleo. Ho quasi finito di leggere il suo libro "Vate Matarino il prete ardito è tornato dalla guerra". Poichè le emozioni vissute nel corso della lettura sono ancora prima di concludere ben già consolidate e nette,sono disposto a credere che una volta finito,questo libro rimarrà un caposaldo (tra le altre cose) della mia attrazione verso la bellezza. Mai come in questi ultimi tempi,camminando per le strade della nostra Mazzarino, sto ben attento affinchè la quotidianità o la mortificazione delle pochissime prospettive che la nostra terra ci riserva,possano in alcun modo distogliere l'attenzione rispetto a tutta la bellezza di cui è pregno il nostro paese .Non fosse per il patrimonio a noi lasciato in eredità dai nostri avi. Sempre più spesso ho pensato della poca riconoscenza e attenzione dei più rispetto a tutto ciò,nel ritenere la collettività odierna davvero non all'altezza degli stessi avi di cui sopra. E mi chiedo perchè? Perchè diamo tutto per scontato e dovuto? Io mi stupisco ogni giorno alla vista della chiesa Madre ad esempio e rimprovero a me stesso la poca conoscenza di una storia tanto fascinosa. La mancanza di memoria storica credo sia il peccato più grande che gli uomini e le donne del mio tempo mettono in atto nel disinteresse generale delle cose. Non è mai suffuciente la conoscenza finchè si vive.Fonte inesauribile di preziosità...Quante cose non saprò mai... Tempi difficili, mai abbastanza da non poterne sostenere il peso tuttavia,laddove chi mi ha preceduto ha dimostrato di farsi carico di fardelli ben più gravosi.La guerra di per sè basterebbe a rafforzare l'idea che sto cercando di approntare.Ci si abitua a tutto, anche nel regresso della mia società attuale,che vive una guerra interiore e di non poca mancanza di responsabilità. Trovo motivi per credere che se la storia della gente e delle cose cui sono postumo ha lasciato in eredità tanta bellezza,voglio avere modo di sperare che ben salde quelle radici avranno opportunità di crescita ulteriore e di presenza sempre viva tramite il rampicante delle generazioni che ad essa daranno continuità,per sensibilità d'animo.Grazie dunque per avermi fatto vivere quella Mazzarino .Il mondo arcaico della bellezza.Il mondo arcaico del mio cuore e della mia memoria. Marco.

  • #18

    VINCENZO IANNI (giovedì, 31 luglio 2014 11:32)

    Solo ora apprendo dell'esistenza di questo libro. Ho dato disposizione di procurarmelo. Lo leggerò e trattandosi di "storia patria" Ti farò il mio commento.
    Ti abbraccio
    Enzo Ianni